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La comunicazione storica nell’era multimediale

Le novità che Internet ha introdotto nel mestiere di storico sembrano aver riguardato  maggiormente il rapporto con le fonti, coinvolgendo in misura minore le forme di esposizione dei risultati della ricerca.

Come ha giustamente rilevato Gianfranco Bandini,

Nella saggistica storica del Novecento si è ormai affermato con chiarezza un preciso modo di scrivere storia, fatto di testo e note, di apparati documentari e indici di varia natura: un insieme di testo e paratesto che costituisce, anche nelle sue caratteristiche formali, un preciso disegno di scientificità della scrittura, una struttura dell’argomentazione che ribadisce ad ogni pagina la piena accertabilità di quanto affermato, attraverso continui rimandi interni e esterni al saggio stesso. La narrazione è così accompagnata dalla puntuale citazione delle fonti ed entrambe le scritture, testo e citazioni, appaiono reciprocamente indispensabili,

G. Bandini, Le caratteristiche qualitative della scrittura storica on line, in Fare storia in rete. Fonti e modelli di scrittura digitale per la storia dell’educazione, la storia moderna e la storia contemporanea, a cura di G. Bandini, P. Bianchini, Roma, Carocci 2007 (Biblioteca di testi e studi, 395), pp. 136-152:139.

 

L’evoluzione culturale ha abituato l’uomo a pensare alla scrittura principalmente in due forme, come prodotto della tipografia o della penna: una polarità che ha corrisposto ai due capisaldi intorno a cui, secondo Alain Touraine, si è costituita la modernità stessa, il sistema e l’individuo, l’organizzazione e la sfera privata1.

La tipografia e la penna hanno costituito fino ad ora, per così dire, la langue e la parole della comunicazione scritta.

La riproducibilità informatica delle fonti ha inevitabilmente spostato la linea di demarcazione tra ricerca, scrittura e comunicazione, presentando al lettore una parte più ampia del lavoro dello studioso e inserendo la problematica delle fonti anche nella fase comunicativa.

Il cyberspazio è divenuto la nuova frontiera nei territori della scrittura – anche di quella storica – e in esso si sono ridisegnate nuove relazioni fra studiosi, oggetti della ricerca e fruitori.

«Che la diffusione di procedure digitali di elaborazione e di comunicazione delle informazioni sia uno dei caratteri distintivi del nostro tempo è fuor di dubbio. Vi è stato anzi chi ha parlato dell’era informatica come di una sorta di quarta fase nello sviluppo delle forme di comunicazione, dopo quella dell’oralità, della scrittura e della stampa»,

S. Soldani, L. Tomassini, Lo storico e il computer, in Storia & Computer. Alla ricerca del passato con l’informatica, a cura di S. Soldani e L. Tomassini, Milano, Bruno Mondadori 1996 (Testi e pretesti), pp. 1-28:1.

Il mutamento in atto, è evidente, non è solo tecnologico ma anche, se non soprattutto, delle pratiche e dei linguaggi con cui si scrive la storia, che ne risultano profondamente modificati, insieme – ovviamente – ai criteri di valutazione del lavoro scientifico, che andrebbero aggiornati alla fluidità delle pubblicazioni digitali.

Ma proprio questa fluidità, insita nelle norme della comunicazione ipertestuale e nella loro naturale tendenza verso il non finito, suscita tra gli storici forti imbarazzi2 e, nonostante gli annunci apocalittici e le peculiari lamentazioni sulla morte del libro, una reale affermazione dell’editoria elettronica in rete non sembra essersi ancora verificata in termini sostitutivi alla produzione cartacea3.

La diffidenza verso il “testo fatto a pezzi”, sentito come una rottura drammatica con una intera e nobile tradizione culturale, produce ancora chiusure conservatrici e un’enorme ritardo sembra caratterizzare – soprattutto in Italia – la storia scientifica e professionale rispetto a quella amatoriale nell’utilizzo della Rete e dell’ipertestualità come strumenti di comunicazione, mentre «la ricerca e i suoi prodotti continuano a prendere invece la via della carta stampata»4.

Anche la maggior parte delle iniziative di editoria elettronica accademica finora condotte, si sono per lo più limitate a riprodurre la forma e la struttura delle pubblicazioni cartacee, secondo un approccio che sembra essere caratteristico di una fase di transizione e del tentativo di mediare un passaggio che è ancora avvertito come eccessivamente brusco.

Si pensi, per fare un parallelo, all’invenzione della stampa a caratteri mobili, che nei primi tempi ripercorse le tracce della chirografia nella scelta dei caratteri, del formato, dell’impaginazione e, quel che più conta, nell’idea stessa di libro, che a lungo si conservò – seppur stampato – in forme simili al manoscritto.

Solo con Aldo Manuzio fu in effetti possibile operare un salto dall’imitazione pedissequa del codice membranaceo allo sfruttamento delle reali potenzialità della tecnologia della stampa, rendendo manifesta la nascita di un mondo tutto nuovo, nel quale il manoscritto non era semplicemente riproducibile a basso prezzo ma ben più radicalmente soppiantato e sostituito, assieme all’episteme che esso aveva determinato, da una modalità comunicativa del tutto inedita: la galassia Gutenberg.

Attraverso questo passaggio “indolore”, il libro stampato – appena inventato – risultò comunque subito familiare, mentre per molti aspetti si trattava di una tecnologia realmente rivoluzionaria, che ridisegnava lo spazio dello scrivere inserendovi le nuove proprietà di linearità, riproducibilità e fissità prima impensabili. E non solo.

Come ha sottolineato nel suo magistrale lavoro Elisabeth Eisenstein, la stampa modificò anche i metodi di raccolta, sistemazione e recupero dei dati: la preparazione del materiale da stampare portò infatti ad una riorganizzazione di tutte le arti e le pratiche inerenti l’editoria, con mutazioni professionali rilevanti e nuove forme di interscambio culturale, tanto che «nella figura dello studioso stampatore si produsse un uomo nuovo, capace di maneggiare macchine e vendere prodotti curando al contempo i testi» e favorendo branche diverse di discipline erudite5.

La diffusione della stampa incise dunque profondamente, e in modo radicale, sulle forme e la trasmissione della cultura e il fatto che parole e immagini identici potessero essere visti contemporaneamente dai lettori lontani costituì in sé una rivoluzione della comunicazione ben difficilmente eguagliabile.

Paradossalmente il computer, avvertito come strumento sovversivo, ha invece, almeno come tecnologia per la scrittura, molto in comune con i suoi predecessori.

Eccessive appaiono sia le considerazioni di Marshall McLuhan che, pubblicando nel 1970 il suo famoso The Gutenberg Galaxy, dichiarava perentoriamente terminata un’epoca e i suoi metodi di indagine storica e filologica, mettendo in luce l’avvento di una nuova dimensione nella scrittura scientifica, sia l’allarmata reazione di Carl Bridenbaugh, fautore della Great Divide Theory6.

Cfr. M. McLuhan, La galassia Gutenberg: nascita dell'uomo tipografico, Roma, Armando 1979 (Teoria della Comunicazione e didattica dell’immagine); tit.or.: The Gutenberg galaxy: the making of typographic man, London, Routledge & Kegan 1971 (Routledge paperbacks).

Nel suo saggio, Marshall McLuhan reinterpreta la storia delle comunicazioni alla luce dei mutamenti intercorsi nei tre lustri successivi la Seconda Guerra Mondiale, sostenendo come ogni strumento utilizzato per comunicare il linguaggio non si limiti a perfezionare la qualità della traduzione dell’esperienza umana, ma la modifichi profondamente: dunque, gli strumenti e la tecnologia che gli uomini utilizzano non sono mai neutri rispetto ai contenuti che veicolano.

Il merito che hanno le nuove tecnologie informatiche, secondo McLuhan, sarebbe proprio quello di mettere a nudo la capacità dei media di manipolare e controllare l’informazione, di rivelare, secondo uno slogan divenuto celebre ma che rappresenta per certi versi una semplificazione eccessiva del suo pensiero, che «il medium è il messaggio».

Sullo studioso v. due interessanti siti internet:

http://www.mcluhan.utoronto.ca,

http://www.cios.org/encyclopedia/mcluhan/m/m.html.

Certo, è fuor di dubbio che la tecnologia elettronica e quella digitale stiano contribuendo a riconfigurare i luoghi dello scrivere7: ma è lecito parlare di rottura radicale, paventando una crisi che invece non esiste?  Non sarebbe tanto più saggio, piuttosto, prendere atto che si tratta invece di una ri-mediazione, insieme omaggio e oltraggio ai vecchi medium e, in fin dei conti, un loro miglioramento e superamento?

Ignorando i passi in avanti nella conoscenza compiuti dal genere umano, si indulgerebbe – parafrasando Jack Goody – in un relativismo sentimentale che dimentica come la grande maggioranza delle persone, quando hanno l’opportunità di usarle, dia il benvenuto a queste tecniche o ai loro prodotti.

«Molti antropologi sono riluttanti a riconoscere che queste tecnologie facilitino il progresso cognitivo, siano strumenti dell’attività intellettuale»,

J. Goody, Il potere della tradizione scritta, Torino, Bollati Boringhieri 2002 (Saggi. Storia, filosofia, scienze sociali), p. 152; tit.or.: The power of the written tradition, Washington-London, Smithsonian institution press, c2000 (Smithsonian series in ethnographic inquiry).

I cambiamenti nei modi di comunicazione pesano e indubbiamente modificano alle radici la vita dell’umanità, ma un nuovo mezzo di comunicazione non sostituisce necessariamente ciò che c’era prima: piuttosto, integra i precedenti.

Bisognerebbe inoltre essere coscienti del fatto che le proprietà della scrittura a mano, della stampa e della scrittura digitale sembrano, in ciascun caso, favorire alcune forme comunicative e ostacolarne altre: se ad esempio il libro stampato è propizio alla lettura lineare, l’ipertestualità propria del mezzo informatico agevola invece il pensiero associativo.

«L’ipertesto in tutte le sue forme elettroniche è la ri-mediazione della stampa. […] Se i generi della stampa sono lineari e gerarchici, l’ipertesto è poliedrico e associativo»,

J.D. Bolter, Lo spazio dello scrivere cit., p. 61.

In questo senso, l’ipertesto – l’innovazione di maggiore portata, e potenzialmente dirompente, con cui le discipline storiche e umanistiche si ritrovano a fare i conti –  sembra anzi inserirsi profondamente all’interno della tradizione culturale dell’umanità.

Il testo elettronico, e particolarmente quello pubblicato sul Web è, prima ancora che ipertestuale, una struttura aperta, mutevole: si intende perciò come una tradizione fondata sulla comunicazione del sapere attraverso testi su libro – testi autoriali, compiuti, unici, protetti dal metodo filologico e interpretativo – si trovi spiazzata da una testualità non più destinata alla chiusura dei confini e dei margini, alla compiutezza.

Eppure, riconsiderare i linguaggi e i metodi della scrittura, anche di quella storiografica, non significa necessariamente aderire al post-strutturalismo, così come la scelta di costruire un ipertesto non costituisce affatto l’abbandono al dominio della casualità: perché, al contrario, richiede una progettualità più forte e complessa rispetto all’organizzazione del discorso lineare.

Di più: proprio la strategia e la logica nell’ordinamento e nell’accesso alle varie sezioni, nei criteri di consultazione e interrogazione, nei legami interni o esterni costituiscono elementi rilevanti per comprendere l’ordine e la coerenza dell’autore.

Assumendo che l’ipertesto non è affatto caotico ma che, dal punto di vista concettuale, è in grado di organizzare i materiali di cui un testo tradizionale si compone in unità relativamente autonome, ognuna dotata di una coerenza almeno locale e però collegate l’una all’altra secondo un qualche criterio8 significa, in verità, proporre una metafora dello scrivere che utilizza comunque termini canonici: ricercare, come sintesi eccellente della narratività elementare della testualità storica, come coesistenza di esplorazione – ricerca casuale – e interrogazione – ricerca mirata –, e condividere, come reazione al solipsismo prodotto dalla creazione e dalla lettura del libro stampato.

Sicchè, immergersi in un ipertesto «non è nomadismo né viaggio picaresco, bensì al contempo creazione di un luogo e sua ricognizione»9 ; o anche, per restare in tema di viaggi, un ritorno sui luoghi. Come tutto ciò possa essere lontano dalla tradizione umanistica, è difficile da stabilire.

Altro nodo problematico della pubblicazione on line dei risultati della ricerca è rappresentato dall’eventuale stravolgimento dei meccanismi della canonizzazione, messi in crisi dalla possibilità – per chiunque – di essere editore di sé stesso, pubblicando in rete da soli i propri documenti senza sottoporsi al giudizio preventivo di nessuno.

A questo proposito si parla infatti spesso di un caso estremo di “disintermediazione”10, alludendo all’eliminazione – o attenuazione – in ambiente elettronico delle figure che tradizionalmente fanno da filtro tra l’autore e il lettore: editori, redattori, comitati scientifici, distributori, per citarne solo alcune.

Con internet cioè, il classico ciclo della pubblicazione diventa una rete in cui nessun passaggio è obbligato, nessuna figura può lucrare su posizioni di rendita e dove ciascun soggetto rischia costantemente di venire scavalcato.

Tralasciando le obiezioni più diffuse, relative al pericolo di information overload e di inquinamento informativo, è indubbio che la possibilità per ricercatori e docenti di pubblicare in un circuito parallelo a quello dell’editoria accademica tradizionale, fatta di grossi editori, perdita dei diritti d’autore ed esborsi consistenti da parte degli enti pubblici finanziatori della ricerca per ricomprare il frutto del lavoro della comunità scientifica, è un’opportunità suggestiva: in questa direzione è andata infatti la provocazione lanciata da Steven Harnard, della Southampton University, che ha recentemente catalizzato l’interesse e acceso il dibattito nella comunità accademica.

Il tradizionale ciclo della pubblicazione

 

La quadratura del cerchio sembra essere quello che Harnard ha definito il self archiving, presupponendo – ovviamente – lo sviluppo di standard che consentano l’interscambio, l’assunzione di criteri di valutazione, impact factor e peer-review non necessariamente condizionati dal mercato.

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Senza dunque arrivare a certe estremizzazioni radicali, che condurrebbero al rovesciamento di equilibri consolidati, va assunto che la tecnologia consente di attivare meccanismi indubbiamente efficaci ed equi, che siano in grado di far tornare nelle mani degli autori la proprietà intellettuale del proprio lavoro e assicurino la rapidità e la gratuità della circolazione dell’informazione.

In questo senso, il passaggio al modello – culturale e telematico – della Rete, non condurrebbe necessariamente alla disintermediazione ma piuttosto, ad una iper-intermediazione che, proponendo l’aumento dei percorsi informativi, comunicativi e documentari, amplierebbe in proporzione anche le possibilità di scelta e i punti di vista da cui affrontare i problemi cognitivi e i criteri con cui approcciarsi alla ricerca.

Nonostante le considerazioni fin qui esposte, il ricorso al medium digitale in ambito storiografico, con il quale è possibile porre sullo stesso piano la narrazione e le fonti creando saggi critici che siano anche archivi, rappresenta una grande opportunità ancora, per molti versi, sottovalutata.

E non soltanto per la possibilità di semplificare l’accesso ai testi storici, operazione di per sé molto apprezzabile ma che nulla dice sulla qualità del lavoro, ma soprattutto perché produrrebbe una nuova forma di organizzazione del pensiero in cui, contrariamente alle apparenze, convivono benissimo linearità e pluridirezionalità, offrendo – in molti casi – una maggiore capacità di penetrazione nella profondità storica.

La possibilità di pensare e usare la normale pagina scritta come un database trapunto di nodi non gerarchizzati, entro i quali è lecito navigare, è una teorizzazione che non implica un invito alla deriva del senso o alla navigazione anarchica; al contrario, proprio la condizione ipertestuale costringe ad operare in modo rigoroso.

La produzione di un ipertesto, di un sito web, interessa infatti una scrittura di secondo livello, in cui i singoli nodi sono riuniti, attraverso i link, in organizzazioni più ampie: ogni nodo è quasi come una parola che il processo di scrittura ipertestuale connette con altre parole e immagini in frasi più complesse.

Ma ogni ipertesto non è solo una struttura: semmai una struttura di possibili strutture attivate dai processi di navigazione dell’utente, che vengono previsti e guidati dall’organizzazione della rete ipertestuale e dalle forme della sua presentazione.

Realizzare un ipertesto storico significa in altre parole tracciare un percorso di analisi, di studio, di discussione, attraverso un insieme di dati, informazioni, testi, immagini che siano in grado di fornire un valore aggiuntivo all’oggetto studiato: in questo senso l’ipertesto può diventare un’interessante tecnica storiografica, uno strumento di controllo e verifica delle interpretazioni fornite da una determinata ricerca.

Nella stessa direzione anche Internet dovrebbe essere intesa sempre più come una fonte necessaria, utile per i fruitori ed entusiasmante per chi vi si dedica.

L’opportunità di un aggiornamento continuo dei risultati della ricerca, l’immediatezza della pubblicazione e di conseguenza della sua fruibilità da parte di studiosi, ricercatori e studenti, sono sviluppi che non tendono a sostituire la diffusione tradizionale della cultura, ma hanno piuttosto l’obiettivo di affiancarla e coadiuvarla in quella che è la sua missione fondamentale: la conoscenza11.

Lo storico – ma anche l’intellettuale tout court – dovrebbe assumere come dato oggettivo l’idea di riuscire, attraverso l’impiego degli strumenti tecnologici, a perfezionare le competenze professionali della sua professione, ma soprattutto dovrebbe prendere piena coscienza che la rete va affrontata iuxta propria principia e che la sua struttura intrinseca richiede un confronto con una spazialità non riducibile alla monodirezionalità, fondata su una testualità aperta.

Quello tra ricerca storica e pubblicazione dei suoi risultati attraverso il Web, se non necessario, è dunque un rapporto importante, data la pervasività della Rete come mezzo di comunicazione, ricco di allettanti prospettive seppur foriero di problematiche tecniche e teoriche non trascurabili.

Senza arrivare alla formulazione estrema di Peppino Ortoleva, secondo il quale – dopo Internet – lo storico o sarà comunicatore o non sarà, con l’informatica è però possibile rimarginare quella cesura profonda tra il processo di ricerca e la sua conclusione, ovvero l’elaborazione da parte dello storico di un testo sequenziale e monolineare nel quale inevitabilmente si perde una parte dei testi utilizzati e dei percorsi seguiti.

Cfr. P. Ortoleva, Mediastoria. Comunicazione e cambiamento sociale nel mondo contemporaneo, Parma, Pratiche 1995 (Nuovi Saggi, 124).

Dello stesso autore v. anche

  • Storia e mass media, in L’uso pubblico della storia, a cura di N. Gallerano, Milano, Franco Angeli 1995 (Collana di storia contemporanea dell’Istituto romano per la Storia d’Italia), pp. 63-82;

  • Presi nella rete? Circolazione del sapere storico e tecnologie informatiche, in Storia & Computer. Alla ricerca del passato con l’informatica cit., pp. 64-82;

  • La rete e la catena. Mestiere di storico al tempo di Internet, in Memoria e Ricerca, ns. 3 (1999);

  • L’argomentazione storica al tempo degli ipertesti, in Il documento immateriale. Ricerca storica e nuovi linguaggi, in L’Indice dei libri del mese cit.

Il computer e l’ipertestualità consentono potenzialmente di presentare nella scrittura storiografica l’intera sceneggiatura, il montaggio che dà ragione della strada seguita, rendendo parallelamente possibile la verifica sulle fonti disponibili e la costruzione di percorrenze diverse.

La questione centrale da affrontare è, semmai, quella di costruire un rapporto dinamico con la tecnologia, rispondendo ai criteri del metodo storico: la sfida da raccogliere è tradurre le proprie tradizioni nelle nuove forme comunicative e nei nuovi linguaggi.

La mediazione con il passato dovrà essere utile al configurarsi di un nuovo contesto comunicativo, e da questo esito dipenderà la capacità della storia di continuare ad essere una materia fondamentale nella formazione culturale degli individui.

Fare storia con la rete non esime lo storico dal fare riferimento ai pilastri del suo mestiere e prima di tutto al dubbio critico di fronte alle testimonianze del passato, le fonti del suo lavoro.

«Al di là delle tipologie, il prodotto della conoscenza storica professionale è riconoscibile e riconosciuto sulla base di alcune caratteristiche fondamentali: il rispetto di una serie di regole condivise dalla comunità scientifica, che intrecciano il piano formale con il piano dei contenuti; il fatto di essere portatori di innovazione, intesa come accrescimento della conoscenza per accumulazione o per mutamento nella prospettiva interpretativa»,

P. Corrao, Saggio storico, forma digitale: trasformazione o integrazione?, Abstract della relazione presentata a Medium-evo. Gli studi medievali e il mutamento digitale, I Workshop Nazionale di studi medievali e cultura digitale, (Firenze, 21-22 giugno 2001).

Esisteranno sempre le scelte critiche per delimitare un argomento a monte della ricerca e della scrittura, il corpus delle prove, fossero pure digitali e ipermediali e la narrazione in modo lineare o ipertestuale, l’interpretazione offerta dallo storico.

Un dato però non cambierà: l’origine resterà sempre la mente umana, un interesse, una passione.

Senza uno studioso che se ne servirà per approfondire un argomento che gli stia a cuore, un computer, lo schermo su cui leggere un testo, il mouse con cui esplorare un sito internet, un cd-rom altro non saranno che alcuni degli innumerevoli pezzi di plastica di cui il nostro mondo è pieno.

 

 

 

 


1 Cfr. A Touraine, Critica della modernità, Milano, Il Saggiatore 1993 (La cultura, 495); tit. or.: Critique de la modernitè, Paris,  Fayard c1992 (Le livre de poche, 19).

2  Come del resto la dimensione partecipativa, la cooperazione nella costruzione di risorse condivise e in continuo aggiornamento, strettamente connesse ai modi della comunicazione in rete.

3 Cfr. R. Minuti,  Le frontiere editoriali cit.

4 P. Corrao, Storia nella rete, storia con la rete, in Nuove Effemeridi. Rassegna trimestrale di cultura, a. XIII, 51 (2000/III), pp. 53-60.

5 E.L. Eisenstein, The printing revolution in early modern Europe, Cambridge, Cambridge University press 1990; trad. it.: Le rivoluzioni del libro: l’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna, Bologna, Il Mulino 1995 (Biblioteca), p. 148; ma v. anche le pp. 12 e 38.

6 Cfr. C. Bridenbaugh, The Great Mutation, in The American Historical Review, 68 (1963), pp. 315-331.

7 Cfr. J.D. Bolter, Lo spazio dello scrivere. Computer, ipertesto e la ri-mediazione della stampa, Milano, Vita e Pensiero 2002 (Argomenti di Psicologia); tit. or.: Writing space. Computer, hypertext and the remediation of print, IIa ed., Lawrence Erlbaur Ass. 2001.

8 Cfr. F. Carlini, Lo stile del Web cit., p. 51.

9 F. Pellizzi, Per una critica del link, in Bollettino ‘900, 2 (Dicembre 1999).

10 Cfr. D. Grossman, A lesson from Portugal, or fighting disintermediation, in Searcher, 14 (2006)4, pp. 45-47; B. Quint, Disintermediation marches on, in Information today, 22 (2005)11, pp. 7-8.

11 Cfr. Internet e Storia, a cura di R. Fidanzia e A. Gambella, Roma, Drengo 2002 (Quaderni del Medioevo Italiano project).